Scopriamo qualcosa di più di Maria Vittoria Comacchi. Ricercatrice presso l’Università Ca’ Foscari Venezia. Una tra i 4 partecipanti alla finale del 27 settembre a Perugia del torneo Sumo Science dedicato ai ricercatori Marie Curie.
Un amore per la storia ma poi hai scelto di studiare filosofia…
Sarò sincera. Quando ho cominciato l’università non avrei mai pensato di occuparmi di storia delle idee. La storia al liceo non era la mia materia preferita. Forse anche perché mi era stata sempre presentata come un lunga sequenza di grandi eventi, date e nomi da ricordare. Quando ho scelto di fare l’università, mi sono iscritta a filosofia.
La filosofia ha certamente a che fare con le idee, ma non tanto o, almeno, non solo dal punto di vista storico. Però studiando i grandi pensatori e le loro idee ho imparato quanto fosse importante il contesto storico in cui queste nascevano. In un certo senso, si potrebbe dire che le idee sono fatte anche di carne e di ossa, non possono prescindere dalle donne e gli uomini che le pensano. E come tutto ciò che ha a che fare con l’uomo, esistono e si trasformano nel tempo.
È così che mi sono avvicinata prima alla storia della filosofia, e poi alla storia intellettuale e allo storia delle idee, che, rispetto alla prima, guardano alle idee da un prospettiva più ampia: prendono in esame non solo i testi filosofici, ma anche quelli letterari, le opere d’arte, i prodotti della scienza.
Devo ammettere che però il passato e la storia hanno sempre esercitato su di me un certo fascino. Dai film ai videogiochi, dai graphic novel ai romanzi, ho sempre amato quelli con un’ambientazione storica o un rimando a epoche passate.
Ma cosa vuol dire che studio le idee?
Nei fatti, direi che lavoro coi libri. Studio testi antichi, spesso scritti a mano, cioè manoscritti, oppure libri stampati e vecchie mappe geografiche. Cerco di capire il significato di quello che c’è scritto (o disegnato) inserendolo all’interno del proprio contesto storico. Tento di capirne la genesi, quando e dove è nato, e perché è stato scritto e per chi. Allo stesso tempo cerco di scoprirne la fortuna, se è stato copiato o stampato tante volte, e se le idee in quel testo o in quella carta geografica hanno influenzato la società del tempo e la cultura degli anni a seguire.
Facciamo un esempio. Attualmente sto lavorando su un pensatore e un viaggiatore francese, Guillaume Postel, che visse nel Cinquecento e, tra le altre cose, viaggiò nell’Impero Ottomano, che all’epoca comprendeva più o meno quelli che oggi sono gli Stati di Turchia, Israele, Siria, Iraq e Egitto, la penisola Balcanica e le coste del Nord Africa. Era una personalità particolare, credeva in un rinnovamento religioso e politico del mondo. Scrisse tantissimo e sugli argomenti più diversi, dalla teologia alla geografia, all’astronomia. Soprattutto portò con sé, dai suoi viaggi, manoscritti in lingue allora poco conosciute in Europa.
Ma perché è interessante studiare un uomo che visse nel Cinquecento?
Perché grazie ai manoscritti che portò in Europa scopriamo che idee simili a quelle europee si svilupparono simultaneamente, nell’età moderna, in posti lontani e vicini all’Europa, nell’Impero Ottomano, ad esempio, e in imperi che a scuola non si studiano tanto spesso, come nell’Impero dei Safavidi, più o meno nell’attuale Iran, e l’Impero Moghul, nell’attuale India.
Com’è possibile tutto questo?
Semplicemente le idee si diffondono, vengono trasmesse, attraverso i mezzi più disparati. Ci sono idee sono state e sono “virali”. Semplicando, il loro viaggio segue un tragitto non così diverso da quello dei meme e dei video su TikTok. Prendiamo come esempio quest’ultimo caso. A un certo punto comincia a circolare molto un video, magari fatto da qualcuno in Corea del Sud. Ecco che in poco tempo video simili, ma non uguali, fanno tantissime visualizzazioni e riempiono i feed dei nostri TikTok. Uno storico delle idee, applicando il proprio metodo di lavoro, cercherebbe di scoprire chi ha creato il video originale, che cosa significava e come è cambiato nel corso del tempo, misurandone la viralità. Capirete benissimo che, un po’ come per i meme e i video sui social, è impossibile pensare alle idee come a qualcosa di isolato o appartenente a una sola cultura o a una sola persona, anche in un periodo storico, come il Rinascimento, durante il quale la comunicazione non poteva essere immediata e diretta come adesso. Questo non significa che le idee, circolando in contesti diversi, nonché venendo trasmesse nel corso dei secoli, non acquisiscano forme, sfumature e ramificazioni differenti.
Ma a cosa serve studiare la storia delle idee?
Con la mia ricerca, vorrei far vedere che le idee che si svilupparono in Europa nel Rinascimento non sono tutte così “originali” e “uniche” come pensiamo. Idee simili circolavano anche in Asia, persino prima del Quattrocento. Capire questo ci aiuta a comprendere il Rinascimento come un fenomeno “globale” e a pensarlo da una prospettiva più ampia, non esclusivamente europea.
La storia e la storia delle idee può venirci in aiuto per diventare maggiormente coscienti di quello che ci circonda, permettendoci di essere più liberi e consapevoli nel pensare e nell’esercitare le nostre azioni.
Che lavoro faresti oggi se non avessi scelto di fare ricerca?
Ci sono tante cose che mi piacciono e che mi sono sempre piaciute. Sono senza dubbio una grande appassionata di arte, e anche di videogiochi. Quindi la me di oggi, se non facesse ricerca, forse farebbe la restauratrice o la programmatrice di videogiochi.
Quanto è importante raccontare la ricerca ai più giovani?
Raccontare ai ragazzi cosa studi e più in generale che cosa significa fare ricerca per me è fondamentale. In Italia ho l’impressione che non si abbia molto presente cosa voglia dire essere un ricercatore. Quando dico che ho fatto il dottorato, molti mi chiedono cosa sia o cosa facessi. Così condividere la mia avventura lavorativa a Sumo Science mi ha permesso di raccontare agli altri, ai giovani soprattutto, una realtà poco conosciuta. Per questo, ci tengo a ringraziare tutti gli organizzatori, gli insegnanti e gli studenti che sono venuti a sentirci.
Senza contare il fatto che mettere in contatto i giovani con il mondo della ricerca permette loro di scoprire cosa c’è dopo e oltre la scuola, che quello che si studia tra i banchi ha un’applicazione nella vita di tutti giorni, che lo si può approfondire nelle maniere più svariate e impensabili e che lo studio può diventare a tutti gli effetti un lavoro.