Suona la fisarmonica, in particolare repertorio gipsy-klezmer ma occasionalmente anche un po’ di jazz. Non stiamo parlando di Bob Dylan ma di Matteo Bugli, ricercatore in astrofisica dell’Università di Torino che il 27 settembre parteciperà alla finale di Sumo Science Marie Curie
Matteo, è vero che dalla lettura di un libro può esserci la svolta per la propria vita?
La mia passione per l’astrofisica si è innescata durante l’ultimo anno di liceo, quando la mia professoressa di Scienze Naturali consigliò a me e ai miei compagni di classe di leggere “Il collasso dell’Universo”, un libro divulgativo scritto da Isaac Asimov, uno degli autori di fantascienza più straordinari mai esistiti.
Quest’opera, tutt’altro che fantasiosa, parte spiegando come funzionino le forze fondamentali che regolano tutti i fenomeni naturali, in modo particolare la forza di gravità. Pagina dopo pagina, Asimov spiega poi come la stessa forza che fa cadere per terra una mela è responsabile anche del moto della Terra e degli altri pianeti intorno alla loro stella, il Sole, e come sia grazie alla gravità che il Sole produce l’energia che permette la nostra stessa esistenza. La gravità è la causa per cui le stelle si formano, splendono durante la loro “vita” e collassano al momento della loro “morte” quando finiscono il combustibile nucleare. Quando la gravità è sufficientemente forte, il collasso di una stella e la sua esplosione in supernova porta nei casi più estremi alla formazione degli oggetti più affascinanti che esistono nel nostro Universo, ovvero i buchi neri. Grazie a questo libro ho scoperto come sia possibile arrivare a comprendere gli eventi naturali più straordinari che avvengono nel cosmo armati semplicemente di curiosità, logica, senso critico e un pochino di matematica (ma neanche troppa, alla fine). Dopo questa folgorazione, mi sono quindi iscritto ad un corso di laurea in Fisica, cominciando il mio percorso verso lo studio dei buchi neri.
Buchi neri e le stelle di neutroni, raccontaci un po’ delle tue ricerche
La mia attività di ricerca si concentra sullo studio di come nascono i buchi neri e le stelle di neutroni (ovvero buchi neri mancati) durante l’esplosione di una supernova e come si possano osservare grazie all’azione dei campi magnetici e del gas incandescente che li circondano. Avendo sempre avuto una certa passione anche per l’informatica (oltre che per i videogiochi!), ho lavorato fin dall’inizio del mio percorso accademico con simulazioni numeriche di plasmi astrofisici, che sono diventate via via sempre più complesse e hanno richiesto computer sempre più potenti per poter essere prodotte: alcuni modelli richiedono l’utilizzo di migliaia di processori alla volta! Questi “esperimenti numerici” producono dei dati che possono poi essere confrontati con quello che osserviamo realmente attraverso telescopi, rivelatori di particelle e onde gravitazionali. In questo modo si concretizza l’aspetto più affascinante della mia disciplina: sebbene ci troviamo su un minuscolo granello di polvere noto come Terra, possiamo dedurre e comprendere come funziona davvero l’immenso Universo che ci circonda!
Un tempo la musica era parte integrante della formazione dello scienziato e molti scienziati del passato furono anche musicisti, come per esempio Leonardo o Einstein, che suonava molto bene il violino. Per il premio Nobel John Nash il gioco di squadra era l’unica via per il progresso condiviso, armonico e corale, come nel canto polifonico. Anche per te è la stessa cosa, anzi forse qualcosa di più
Può sembrare bizzarro, ma se non avessi intrapreso la carriera scientifica sarei probabilmente diventato un musicista. Nei primi anni di studi all’Università mi sono diplomato in Fisarmonica al Conservatorio di Firenze, e per un breve periodo ho suonato insieme a mio fratello (violinista) in un gruppo di musica gipsy/klezmer e in un’orchestra pop. Musica e scienza hanno in realtà in comune molto più di quanto non ci si possa immaginare; quindi, la scienza sarebbe rimasta in ogni caso parte della mia vita come una sorta di hobby.
Cosa ti hanno lasciato i numerosi ragazzi incontrati in questa esperienza di Sumo Science?
Partecipare agli incontri di Sumo Science è stata un’esperienza straordinaria. Attraverso il confronto con i miei colleghi ricercatori sono entrato in contatto con discipline scientifiche a me quasi del tutto ignote, mentre l’interesse che le ragazze e i ragazzi hanno mostrato durante gli incontri mi ha ricordato quanto sia importante condividere con la comunità i progressi tecnici e culturali derivanti dalla scienza moderna (comprendere come funziona il mondo che ci circonda significa comprendere qualcosa di come funzioniamo noi stessi). L’emblematica “torre d’avorio” in cui gli scienziati rischiano di chiudersi mentre fanno ricerca rappresenta in realtà un vero e proprio limite alla ricerca scientifica, perché l’interesse della comunità è il motore principale che spinge la macchina accademica. Così come non serve essere musicisti per apprezzare e promuovere la musica, non serve un percorso di studi accademici per appassionarsi alla ricerca… basta rimanere curiosi e lasciarsi affascinare dall’Universo che ci circonda!